Ritrografia N. 32 Titolo 1: “Fiori e Cazzi” Titolo 2: Fiore della Felicita’
Viaggio tra Ferrara e Roma. Protagonisti: Vittorio Sgarbi e Franco Ariano Maestro Illu Minato.
Fiera TTG Travel Experience Rimini, 11 ottobre 2023
La mostra inventata da Sgarbi, intitolata “Fiori e Cazzi, da De Pisis a Mapplethorpe” è a rischio censura perché moltissimi sono gli articoli che vorrebbero vietarla unicamente per la provocazione proposta dal titolo, peraltro ripreso dalle esatte parole scritte da Mapplethorpe: “I am looking for perfection in form. I do that with portraits. I do it with cocks. I do it with flowers. Cerco la perfezione nella forma. Lo faccio con i ritratti. Lo faccio con i cazzi. Lo faccio con i fiori”, affermava. Ora invece qualcuno vorrebbe trasformarne il titolo in “Fallo coi Fiori”, “Tra pietà e preghiera”, “Orgoglio e pregiudizio” o ancora “Tra grazia e dannazione”. Tutto ciò diventa quasi ridicolo se relazionato al fatto che, in omaggio a Mapplethorpe presso lo Stammtisch di Dusseldorf, si è già tenuta una mostra intitolata proprio “Cocks & Flowers”, cioè “Cazzi e Fiori”. A questo punto Inizio a pensare che il vero grave, insormontabile problema sia l’inversione della posizione dei 2 termini, imponendo “Fiori” al primo posto rispetto ai “Cazzi”. Vittorio ha spiegato che: “Un titolo come questo, senza ipocrisia, è un modo per riscattare quello che è sempre stato peccato, ombra, oscurità, nascondimento. E’ come se uno dovesse vergognarsi di quello “strumento” che invece è così usato su ogni fronte. Quindi sono stato molto compiaciuto della telefonata di Zavagli (giornalista di Repubblica, ndr) perché osservava come non ci fosse in me volontà di provocazione, ma volontà di assoluzione…”. Nel tempo ho compreso che Vittorio può resistere, con sacrificio, a cogliere un nuovo “Fiore”, ma assolutamente non può non possedere un’opera d’arte che l’ha sedotto. Quanto segue è ciò che è successo questa mattina durante la conferenza stampa. Mentre Sgarbi spiegava le motivazioni che l’hanno portato a ideare la mostra, io sono saltato sul tavolo e gli ho mostrato la mia Ritrografia n.32, “Fiore della Felicità”, che da ieri ho ribattezzato “Fiori e Cazzi”, in suo onore.
Vittorio l’ha immediatamente apprezzata, desiderata, presa in mano e messa vicino a sé dicendo:
“Bella, bravo, complimenti, questa la esponiamo subito al Ministero della Cultura”.
Io ho risposto: “No”.
E lui “Come no? Non l’hai portata per me?”
Io: “Non proprio”.
Lui: “Perché?”
Io: “La devo ancora finire”.
Lui: “No, no, questa è già finita, è perfetta. Al Ministero è già pronta una nicchia per esporla”.
Io: “Va bene. Stanotte la finirò e poi la porteremo a Roma”.
In sintesi, domani Sgarbi dovrà andare a Roma per impegni istituzionali e vuole portare la mia Ritrografia n.32 da esporre al Ministero. Per una serie di coincidenze improbabili, incredibili, sicuramente irripetibili, mi ritrovo in viaggio da Ferrara a Roma, con Vittorio Sgarbi come trasportato, ed io conducente della mia auto. Io e lui, soli, per 5 ore.
Ecco i fatti che il destino ha creato affinchè questo incontro accadesse:
A questo punto, la domanda è: “Chi accompagnerà Sgarbi al Ministero della Cultura?”
Risposta: “Fiori e Cazzi”, cioè io.
Durante il viaggio, tra le tante telefonate, arriva il rifiuto della Fondazione Mapplethorpe.
“Fiori e Cazzi”, come nome di una mostra che in verità propone un dialogo tra pittura e fotografia, è un’idea geniale, un’illu-minazione, anzi è superiore ad essa.
E cosa c’è oltre l’essere illu-minati? C’è l’assoluto, il sacro.
Ecco, “Cazzo” e “Figa” sono sacri. Senza loro non esisterebbe né l’umanità, né il regno animale.
Quindi Vittorio: “Chi non ti vuole, non ti merita!”. Se la fondazione non vuole partecipare, meglio!
Si farà la mostra “Fiori e Cazzi, SENZA Mapplethorpe”.
Grazie a te Vittorio sono riuscito a fare il mio “coming-out artistico” che va oltre alle Ritrografie fatte per svelare le mie scoperte su Van Gogh. Fino ad oggi, il mondo intorno a me mi ha sempre additato e criticato quando mi esprimevo con opere in cui erano presenti soggetti ed oggetti “sessuali”. Nel mio atelier ho tantissime Ritrografie con fiori, “Cazzi”, “Cazzi” dipinti, disegnati, di ferro, di legno, di alluminio, piccoli, grandi, nascosti in acquerelli.
Ho creato anche opere con fighe di legno, di plastica, fatte con veri nidi, con tessuto, clitoridi, buchi, occhi, bondage, catene, tira capezzoli e code anali. Ho inventato e brevettato anche il Vino ERECTUS, fatto con i grappoli (“Cazzi”) rivolti verso il cielo fino alla vendemmia, e nel 2011 Christie’s di Ginevra ha battuto ogni record con questo vino messo all’asta alla prima annata, quella del 2009.
Poi ho trovato una gabbia medievale all’interno della quale ragazze e ragazzi, nudi, sfidano i limiti della fisica e della meccanica umana, stretti, schiacciati e chiusi. Ho creato altre Ritrografie, come i “Fior di “Figa” e le “Sedute Sudate”, dipinte appunto insieme a ragazze che hanno voluto lasciare il loro “segno” nella storia dell’arte.
“Io sono pronto e me lo merito.”
Sta accadendo esattamente come è successo per il COVID. Vogliono chiudere, censurare, limitare, abusare del potere che, come hai detto, è un potere forte proprio perché c’è qualcuno che, riconoscendolo tale, si inchina ad esso. Non sottometterti, è già la mostra che tutti vorrebbero vedere, soprattutto i più giovani e quelli che la disprezzano.
Probabilmente accadrà che “Fiori e Cazzi” sarà l’unica “non-mostra” ad avere una sola opera, la Ritrografia n.32, che tu hai firmato insieme a me, per una mostra che non si è mai fatta e mai si farà. Ieri alla Fiera TTG di Rimini, durante la presentazione ufficiale, tu pubblicamente hai elogiato quest’opera e ne sei stato attratto al punto da volerla esporre al Ministero ed io, Vittorio, ora, dopo l’ennesimo rifiuto, ho scritto questa lettera mentre guido e vorrei leggertela.
“Ti va di ascoltarla?”
Risposta di Sgarbi: “No, non me ne frega un Cazzo”.
Io: “Ma perché?”
Lui: “Perché tanto la mostra non si fa!”
Io: “Appunto, la Ritrografia n. 32 è l’unica opera per una mostra che non esiste, è magnifico! Bene Vittorio, se non te la posso leggere almeno te la racconto mentre sto guidando.”
Lui: “Non mi interessa, non voglio ascoltarti!”
Io non mollo e comincio: Sai che allo Stammtisch di Dusseldorf si è già tenuta una mostra intitolata proprio “Cocks & Flowers”, cioè “Cazzi e Fiori”? In più la Biennale di Venezia 2022 era piena di “Cazzi”, “Fighe”, pezzi di carne, sangue e sai che la Abramovich nel 2019 ha ricreato l’opera “Naked Doorway” nella quale due esseri umani, nudi ed in piedi uno di fronte all’atro, formano una porta e toccano i visitatori con “Cazzo”, culo, tette e “Figa”? La prima volta fu alla Galleria di Arte Moderna di Bologna, nel 1977, e poi al MOMA e alla Royal Academy of the Arts di Londra. In tutte le occasioni la critica ha confermato che si trattava di “arte”, andava tutto bene e nessuno ha pensato ai bambini che non potevano vederla.
Lui: “Dov’è che l’ha fatta nel 2019?”
Io: “A Firenze, Palazzo Strozzi, “The Cleaner”, 2018-19. Marina è stata osannata da tutti, mentre la tua mostra viene censurata perché il nome a loro dire è “provocatorio”. Tutto questo accanimento contro un titolo accade in un mondo in cui qualunque bambino può accedere senza alcun problema a Onlyfans, YouPorn, PornHub, “La Zanzara di Cruciani” o “Lo Zoo di 105””
.Mi rendo conto che “Fiori e Cazzi” non è più solo una Mostra o una Ritrografia.
E’ un simbolo di libertà come “L’origine du monde” di Courbet, una chiave capace di “aprire” porte nelle menti di chi le vorrebbe “chiuse”. Ma perché sono così chiuse queste porte? “Fiori e Cazzi” fa paura, tanta paura. La conferma sta in questo banale, ma non troppo, esercizio mentale: provate a dire in pubblico ad un estraneo: Conosci la mostra “Fiori e Cazzi”? Facile no?
A questo punto comprendo quanto questa Ritrografia n. 32 sia strettamente collegata alla mia Ritrografia n. 44 CRATOS (in origine DEMO-CRATOS, prima che i “Demi” finissero, come schiavi, nel W.C. del potere).
Vietare “Fiori e Cazzi” solo per il suo nome è come vietare di fare la sauna nudi, così provinciale, riduttivo, soprattutto innaturale. Avreste il coraggio di portare la vostra compagna o il vostro compagno così meravigliosamente e naturalmente esposto nel caldo prato di una sauna piena di altri diversi “Fiori e Cazzi”?
Ognuno di noi, religiosi compresi, ha la testa piena di “Fiori e Cazzi”. Questi pensieri sono lì da quando, dopo esser nati nudi, il potere MALATO ci ha imposto di coprirci. Ed è proprio “copertura” un sinonimo di “censura”. E la censura, unita alla mancata tolleranza delle diversità, si trova all’origine delle guerre.
Per tutti il ricordo probabilmente va a quei primi momenti d’infanzia, così forti dal punto di vista dell’emozione, nei quali ognuno di noi è stato costretto a relazionarsi con altri corpi nudi negli spogliatoi pubblici o a scuola.
Da quel momento abbiamo avuto le menti piene di “Fiori e Cazzi”, ai quali ognuno ha collegato mille diversi aggettivi e significati. In quel tempo si sono chiuse le porte delle menti e le chiavi sono state gettate nel mare immenso della paura. Un mare in continua espansione, proprio come lo spazio che ci circonda. Tutti pensano, ma non osano dire, quindi chiudono!
Si crede che missili e bombe siano fatti di metallo, in realtà vengono dopo. Sono prima di tutto cattivi pensieri, come la censura. Sono porte e “PORTI” che si chiudono, contro la libertà, contro la vita, contro l’umanità. “Fiori e Cazzi” permette di fare quello che il potere non vuole più che accada, fa riflettere, fa pensare e, come diceva Cicerone, “Pensare è vivere”, dunque fa paura. Paura di confrontarsi, di essere inadeguati, di perdere, paura di ciò che non si capisce, non si conosce o si disprezza. Proprio per questo, se leggerete fino in fondo, non avrete più paura della famigerata parola “Cazzo” che la vostra mente avrà memorizzato esattamente 61 volte in italiano e 4 volte in inglese. E chissà cosa capirà di “Fiori e Cazzi” la grandissima deficienza artificiale?!
In sintesi: “Cazzo” e “Figa” non sono né di destra, né di sinistra, né bene, né male.
Sono natura, sono vita. Chi non vuole questa mostra rinnega la natura e la vita.
Dunque, rispettate “Fiori e Cazzi”! Io voglio vivere e per vivere ho bisogno di arte.
L’arte è libertà. La censura è contro la vita, madre di tutte le guerre.
MINISTERO DELLA CULTURA
3° PIANO – DIREZIONE GENERALE BILANCIO
“Fiori e Cazzi”
Ritrografia n. 32
Franco Ariano Maestro Illu Minato
Se tutto quanto fin qui descritto non bastasse, rimando a citazioni di personalità insospettabili, che parlando del “Cazzo” si sono letteralmente espresse nei seguenti termini:
1. Italo Calvino
Corriere della Sera, 12 febbraio 1978, titolo: “Al di là della polemica sul parlar greve alla radio. C’è parolaccia e parolaccia”. Tratto dal libro “Italo Calvino”. Una Pietra sopra. 1980. Le Parolacce (1978). Pagine 303-305:
“[…] La nostra lingua ha vocaboli di espressività impareggiabile: la stessa voce “Cazzo” merita tutta la fortuna che dalle parlate dell’Italia centrale le ha permesso di imporsi sui sinonimi dei vari dialetti. […] Va dunque rispettata, facendone un uso appropriato e non automatico; se no, è un bene nazionale che si deteriora, e dovrebbe intervenire “Italia Nostra”. […] C’è un atteggiamento diciamo di “laicizzazione” delle parole oscene, nel senso di impiegarle né più né meno come si adopera qualsiasi sostantivo di cosa concreta o verbo d’azione, dissolvendone l’alone sacrale: atteggiamento moralmente condivisibile, ma che non può trascurare il fatto che la scelta di una locuzione o di un’altra per dire la stessa cosa ha sempre una pregnanza culturale, finisce per veicolare significati molo diversi. La trasparenza semantica d’una parola è inversamente proporzionale alla connotazione espressiva. […]
Ed è un jolly linguistico”.
2. Meo dei Tolomei
Poeta della corrente giocoso-realistica della fine del XIII secolo.
La prima attestazione scritta del termine “Cazzo” nel significato che anche modernamente gli attribuiamo, si trova in questo suo sonetto:
“Ché s’ tu temessi vergogna nïente, tu anderesti con gli occhi chinati e non appariresti mai tra gente. Tu porti ’l gonfalon degli sciaurati, figliuol di quella c’ ha ’l cul sì rodente, che tutti i “Cazzi” del mondo ha stancati”.
3. Franco Sacchetti
Da qui in poi il termine troverà sempre più spazio, certo nel linguaggio quotidiano, ma anche nella letteratura giocosa e burlesca. E ancora nel Trecento, nelle sue rime vi troveremo (CXXIIb, 9):
“Ch’io ho il “Cazzo” mio, ch’è tanto vano che dorme su’ coglioni, e non si desta ed è cinq’anni o più che non fu sano”.
4. Giordano Bruno
Il “Candelaio” di Giordano Bruno, prima edizione Parigi 1582.
Dal Cinquecento in poi le attestazioni d’uso di questo termine si moltiplicano. Ne il “Candelaio” compare fra l’altro col valore di interiezione, proprio così come la si userebbe ai giorni nostri, nelle frasi:
“ “Cazzo”, dissi intra me. Costei ne vuole! “Cazzo”, che buon latrone è costui! ”
5. Antonio Vignali
Accademico degli Intronati (Arsiccio Intronato).
La “Cazzaria”
Il testo fu pubblicato per la prima volta a Venezia intorno al 1531.
Sempre nel Cinquecento aveva pubblicato questo piccolo capolavoro osceno, opera in cui si tratta “delle ragioni e delle circostanze del fottere”, si sviluppa in un dialogo sodomitico-godereccio in cui non si manca di fare riferimenti alle vicende politiche della Siena di allora.
6. Pietro Aretino
“Sonetti lussuriosi”, pubblicati nel 1526.
Dello stesso periodo i “Sonetti lussuriosi”, ispirati alle incisioni erotiche di Marcantonio Raimondi.
Il linguaggio dei sonetti è, manco a dirlo, piuttosto esplicito:
“Questo “Cazzo” vogl'io, non un tesoro!
Questo è colui, che mi può far felice!
Questo è proprio un “Cazzo” da Imperatrice!
Questa gemma val più ch'un pozzo d'oro”.
7. Antonio Canova
E più tardi, fra gli insospettabili, eccolo con:
“Oh “Cazzo” “Cazzo”!
Osaste mai credere ch’io mi fossi montata la testa per il Cavalierato?”
8. Giacomo Leopardi
Lettere al fratello Carlo, 1800.
“La vera letteratura di qualunque genere sia non vale un “Cazzo” con gli stranieri”.
9. Cesare Zavattini
Radio: “Voi e io, punto a capo”, 25 ottobre 1976.
Ai microfoni di Radio Rai ha fatto tremare il regista della trasmissione e saltare sulla sedia gli ascoltatori dicendo:
“E adesso dirò una parola che finora alla radio non ha mai detto nessuno”.
Una pausa in silenzio e poi: “Cazzo”.
Sembra sia stata la prima volta che in radio si sia pronunciato il termine “Cazzo”.
Dopo le inevitabili, prevedibili e inutili polemiche, da allora il termine ha acquisito nuova dignità o, come direbbe Umberto Eco, “una nuova innocenza”.
10. Umberto Eco
“La bustina di Minerva”, Bompiani 2011: sul “cazzeggio” 1999.
“Quando una lingua si libera di alcuni tabù si raggiunge uno stato di nuova innocenza. Ormai da tempo non solo i ragazzi ma anche buona parte dei loro genitori credono davvero che “casino” voglia dire soltanto “rumore” o “disordine”, e anche persone di rango dicono “fichissimo” di un bel ragazzo, avendo completamente dimenticato che il termine mascolinizza un pesante apprezzamento una volta usato per il sesso opposto. C’è quindi la possibilità che la prossima generazione ritenga in buona fede che “Cazzo!” voglia dire soltanto “perbacco!” e che “cazzeggio” sia un sinonimo di “chiacchiericcio” già raccomandato dal Tommaseo. Quello che però suscita la mia più profonda preoccupazione è come si farà allora a nominare il membro virile, in quelle auspicabili occasioni in cui la gente, abbandonando per un momento la navigazione su Internet, cercherà di avere rapporti fisici con qualche essere di sesso simile o opposto. Non rischieremo che, per eccesso di ottundimento della libertà lessicale, alcuni organi fondamentali non possano più essere designati in modo letterale, in modo che il partner capisca quel che intendiamo dire, e ne consegua l’impossibilità di sollecitare quella mutua offerta di incavi ed escrescenze che è così necessaria per implementare (come si dirà allora) l’amplesso?”
11. Gregorio De Falco
Il 13 gennaio del 2012 all’Isola del Giglio la nave da crociera Costa Concordia sta per Affondare e il pessimo comandante Schettino non si mostra all’altezza della situazione abbandonando l’imbarcazione prima dei passeggeri. Il Capitano De Falco, che coordina i soccorsi da terra, prende in mano le redini della situazione e, in una famosa e concitata telefonata gli intima: “Salga a bordo, “Cazzo”!” La frase con il “Cazzo”, in cui l’interiezione assume un ruolo particolare anche per il fatto di essere inserita in un contesto formale sottolineato dalla forma “salga”, con il “lei” e non con il “tu”, diventa così famosa da trasformarsi in vero “modo di dire”, citato in mille situazioni e riportato perfino in scritte sulle magliette.
12. Alessandro Barbero
“La voglia dei cazzi e altri fabliaux medievali”, 2020
Una traduzione più libera, ma assaipiù fruibile, che rivela storie piccanti, vivaci e sarcastiche, proprie di una mentalità medievale acuta e dissacratoria, ai più è del tutto sconosciuta e insospettata.
Questo libro raccoglie le traduzioni di venti fabliaux molto libertini, che mostrano non solo il rapporto con il sesso del 1200, ma anche la smaccata disinvoltura espressiva a cui forse, confessiamolo, non siamo pronti» - V. Desalvo, Repubblica
Una materia che nelle mani di uno storico del calibro di Alessandro Barbero, provvisto della giusta ironia e arguzia, si è trasformata in un volume godibilissimo, ricco di trovate sorprendenti» - La Stampa
“La fortuna critica dei fabliaux è andata regolarmente crescendo nel corso degli ultimi decenni. Il Medioevo francese ci ha lasciato circa centocinquanta di questi poemetti in rima baciata, generalmente di ottonari, lunghi poche centinaia di versi, e di contenuto per lo più erotico, se non francamente osceno”.
Alessandro Barbero ripropone una traduzione di questi godibilissimi poemetti distaccandosi dal tradizionale approccio filologico. I fabliaux sono scritti in versi, in lingua d’oil e come tali tradotti in francese moderno. L’operazione tentata, con risultati lusinghieri, è stata quella di riproporre la loro freschezza ed immediatezza ad un pubblico più vasto, avvezzo alla lettura in prosa come è quello contemporaneo. E’ una traduzione più libera che rivela storie piccanti, vivaci e sarcastiche, proprie di una mentalità medievale acuta e dissacratoria, ai più è del tutto sconosciuta e insospettata.
Insomma, sia pure in un continuo dilagare dell’uso della parola “Cazzo”, il termine resta comunque per secoli confinato al gergo volgare, proprio della comunicazione familiare, dialettale, all’interno del pubblico maschile, o proprio della letteratura “lussuriosa”, giocosa e curiosa.
Dal tardo Novecento, la “rivoluzione culturale” ha sdoganato il termine in ambiti più ampi, proclamandoLo a pieni voti come la parolaccia numero uno in Italia, pronunciata indistintamente e con orgoglio sia dal pubblico maschile che da quello femminile.
“Fiori e Cazzi”
Ritrografia n. 32
Franco Ariano Maestro Illu Minato